In questa sezione pubblichiamo articoli che trattano argomenti per il benessere fisico, mentale e spirituale, anche al di fuori della medicina naturale di Lezaeta e Costacurta ma che rientrano tra le conoscenze che ognuno di noi può mettere in pratica in autonomia e quindi che fanno parte dell’autogestione della salute. Esempio: cultura Seitai, arte, riflessologia, fisiognomica, arteterapia, fiori di back, olii essenziali, micro organismi, etc.

Chiediamo gentilmente di non condividere questo video all’esterno dell’area riservata perché non abbiamo il permesso da parte del relatore. Grazie

Registrazione della diretta streaming della Conferenza divulgativa del 15 novembre 2023, tenuta dal farmacista Alessandro Massarotto. Non appena sarà disponibile la versione editata con le slide manderemo comunicazione ai soci.

Carissimi amici,

con molti di voi non ci conosciamo personalmente ma per l’interesse comune che abbiamo, permettetemi di usare questo saluto.

Ogni tanto, creando i contenuti dei canali di comunicazione dell’associazione (post, storie, video, newsletter, blog, sito) succede che da alcune righe, sento la necessità di approfondire il contenuto ed elaboro fiumi di parole. 

Noi dell’associazione, su alcune decisioni, usciamo dagli schemi, senza paura. 

I nostri video non durano 30 secondi. E non tutti i nostri post sono di poche righe. 

Sono consapevole che i social sono più adatti a proporre contenuti brevissimi e ne faremo ma ne faremo anche di lunghi.  

Risiede in me, ma credo di poter parlare a nome di tutta l’associazione (il consiglio direttivo, il comitato tecnico ed i soci), un desiderio di mantenere allenata la nostra capacità di attenzione.

Sappiamo che mentre ascoltiamo, o facciamo qualcosa che richiede tempo e concentrazione, la nostra mente lavora, forma i pensieri ed i collegamenti che sono la base dell’intelligenza. 

Noi vogliamo sviluppare la nostra intelligenza, o per lo meno non abbassare il livello che abbiamo coltivato fino ad ora, con così tanta fatica e impegno. 

Sappiamo anche che la mente può essere nostra amica o nemica e la responsabilità di questa relazione è solo nostra. È amica perché, ad esempio, quando non sappiamo guidare ma lo facciamo con costanza, ad un certo punto, i movimenti necessari vengono attivati in automatico e tutta la fatica svanisce, ma è nemica quando la sicurezza ci permette di distrarci fino al punto di sbattere contro un marciapiede non visto. Il suo “andare in automatico” accade con qualsiasi cosa che ripetiamo con costanza, nel bene e nel male.

Se abituiamo il cervello a non riflettere, ad un certo punto, sceglierà in automatico quella strada, ovvero di non riflettere. E quella strada ci allontana dall’indipendenza, dalla libertà di scegliere, dal coraggio. 

La libertà è un affare difficilissimo. Avere il libero arbitrio è il compito più arduo che abbiamo ma è anche la caratteristica che ci distingue da tutti gli altri esseri viventi di questo pianeta e che ci permette di imparare e migliorare. Di diventare buoni e intelligenti, che è lo scopo che perseguiamo. Ognuno di noi lo vuole raggiungere, anche se non è perfettamente consapevole. Siamo tutti buoni e intelligenti e possiamo aumentare o cambiare il modo di esserlo.

A quale scopo?

Personalmente credo per provare gratificazione. Per sentirmi bene.

Lo sviluppo della tecnologia e le conoscenze scientifiche come la Biomimesi condurranno la società a grandi cambiamenti. Siamo entusiasti e affascinati da tutto ciò, consapevoli delle esperienze strabilianti che potremmo fare e dei benefici che ne potremmo avere ma siamo anche consapevoli che va mantenuto un equilibrio.

Natura e tecnologia, cultura e scienza devono sempre coesistere e questo vale anche per noi in qualità di singoli individui. Vale nel nostro interiore.

Godiamoci la società e la sua modernità ma non dimentichiamo di continuare a coltivare quelle azioni e quei pensieri che sono la base della salute fisica e mentale delle persone. Non dimentichiamo di creare noi stessi. Non dimentichiamoci di prestare attenzione ai segnali che il nostro corpo e la nostra mente ci mandano. Anche se ci saranno applicazioni che ci dicono esattamente come stiamo, quante pulsazioni abbiamo al minuto, o quanti globuli rossi abbiamo nel sangue. Non disimpariamo a prestare attenzione e a valutare secondo la nostra coscienza, conoscenza e opinione. Non dimentichiamoci di fidarci di noi stessi ma soprattutto di come si fa a fidarsi di noi stessi.

La vita è complicata per tutti, e tutti noi sappiamo quanto è bello ma anche necessario distrarre la mente. Avere uno svago per non pensare ai problemi.Trascorrere del tempo in allegria, fare cose futili e a volte anche cose che non ci fanno bene (come strafogarsi di dolci ad esempio). 

Perché c’è il tempo per ogni cosa.

Ogni cosa. Non una cosa.

Mantenere la mente continuamente distratta da se stessa è molto facile e lo sarà sempre di più negli anni a venire (con la realtà virtuale e il metaverso). Possiamo distrarci fin che vogliamo, non prestare attenzione ai segnali che il nostro organismo ci manda ma prima o poi, come ha sempre fatto e sempre farà, ci presenterà il conto.

L’uomo trova serenità e gioia nel creare, nel sentirsi utile, nell’imparare e per raggiungere queste mete, tanto ambite da chiunque, non possiamo prescindere le leggi della natura che richiedono tempo e dedizione (disciplina per chi non si spaventa del termine). 

Una mente brillante non si crea installando nel cervello un software. Le abilità non si creano in una settimana, dedicando 5 minuti al giorno a fare qualcosa. Sono utili e necessarie anche quelle poche e brevi attività ma se saranno le uniche e decidiamo di vivere per inerzia, volando dove ci porta il vento, vi posso assicurare, per esperienza diretta, che prima o poi, e normalmente accade dopo molti anni che ci permettono di rassicurarci sul fatto che quanto sto affermando ora non valga per noi, perché siamo abbastanza felici; vi posso assicurare che la mente vi presenterà un conto pieno di insoddisfazione e il tormento e l’infelicità si impossesserà di voi o peggio ancora, l’egoismo si propagherà talmente tanto dentro la vostra mente che le impedirà di ragionare conducendovi alla depressione. 

Lasciamo alle macchine fare le macchine. Noi siamo esseri umani dotati di intelligenza che però va coltivata. Per aiutarci in questo percorso abbiamo diversi strumenti, come ad esempio gli altri, le emozioni, le malattie, l’infelicità che ci aiutano a capire che stiamo sbagliando qualcosa. 

Ma se non ci osserviamo, se manteniamo la nostra mente distratta dalle mille attrazioni del mondo, tutto andrà nello scantinato che però prima o poi traboccherà. Siamo contenuti in un corpo e in una mente. La cantina non è infinita. Si riempie e soprattutto si sporca. A noi il compito di mantenerla in ordine e pulita, per quanto possibile. Le grandi pulizie prima o poi devono essere fatte. Non c’è niente da fare. Fa parte del vivere. Ma credo che pulire ogni tanto sia meglio di pulire una volta all’anno facendo una fatica immane, rischiando oltretutto di accumulare così tanta sporcizia da non capire più da dove partire.

Ovviamente c’è sempre una speranza. La vita ci aiuta sempre. Nel caso sfortunato che rendiamo la nostra cantina (organismo, mente o corpo) un letamaio la vita ci presenterà un’occasione per fare pulizia. E’ da sapere però che la natura agisce perchè deve agire non ha sentimenti e per smuovere tutto lo sporco deve creare un terremoto, uno tsunami, un diluvio universale.

E la scelta è tutta in mano nostra. Per accogliere e godere a pieno del nuovo mondo che verrà facciamolo con intelligenza. Prepariamoci. Creiamo fondamenta solide per la nostra mente e il nostro corpo con buoni pensieri e un buon sistema immunitario.

Ogni volta che citiamo la dottrina igienistica che divulghiamo, specifichiamo che è quella di Manuel Lezaeta Acharan e Luigi Costacurta perché, oggi, sono diffuse tante altre filosofie naturaliste ma la Dottrina Termica di Lezaeta è la base della salute ed è spiegata in modo semplice, affinché ogni persona possa comprendere che occuparsi del proprio benessere, fisico, mentale e spirituale, è possibile. Basta volerlo e farlo e abbiamo tutto l’occorrente per farlo noi stessi su noi stessi.

Se non basterà potremmo affidarci agli altri livelli di intervento ma il primo è importante, è la base della struttura. 

Tutto questo per augurarvi una buona visione dei nostri video e una buona lettura dei nostri post e articoli! la cui durata non è moderna!

Condivido una storia scritta da un caro amico per se stesso e per i suoi figli.

Autore: Michele Balestra, insegnante di Filosofia.

C’era una volta in un paese lontano lontano, un bambino di nome Omar…

 

Un giorno Omar, un bambino di otto anni,  si alzò e si diresse verso la cucina. Cercò il latte nel frigorifero, i suoi biscotti preferiti e una tazza bella grande. Soddisfatto di aver trovato tutto quel che cercava, mise in bocca il primo biscotto che aveva inzuppato per bene mentre stava ancora facendo la preghiera.

Si mise sazio sul divano, voleva accendere la TV ma sapeva che non poteva, così giocò un po’ con i Lego, poi sognò di volare, tirò tre calci al pallone facendo rumore, sperando che qualcuno si svegliasse ma niente, nessun rumore, la casa sembrava deserta.

Stanco di aspettare corse nel letto dei genitori e nel buio della stanza ci si infilò, ma lo trovo freddo e vuoto: mamma e papà non c’erano. E dov’erano andati? Iniziò a chiamarli, piano, poi normalmente girando per tutta casa, poi sempre più forte, infine gridando. Non rispondeva nessuno.

Una grande tristezza scese nel cuore di Omar, si sentì solo e pianse a lungo, di un pianto disperato. Poi ebbe fame, si asciugò gli occhi e si mangiò altri biscotti e trovò le forze per attuare il suo piano: cercare mamma e papà. Si vestì, preparò uno zaino pieno di cose da bere e da mangiare, se lo mise in spalla e mentre stava andando verso il garage per prendere la sua mitica bicicletta, vide una cosa strana, grande, in mezzo alla stanza, proprio vicino alla porta. Uno scatolone con scritto il suo nome. Ma come aveva fatto a non averlo visto prima?

Dentro lo scatolone non trovò altro che fogli colorati, pieni di parole. 

Uno rosso con su scritto FORZA. Uno giallo con scritto CORAGGIO. Uno verde con scritto SPERANZA. Uno blu con scritto GENTILEZZA. Ed infine uno bianco con scritto PAZIENZA. Deluso dal contenuto dello scatolone stava quasi per uscire di casa quando sotto gli altri fogli ne vide uno ancora più grande con scritto sopra la parola: 

Mappa del tesoro!

Una mappa del tesoro pensò? Si sentì dentro una grande avventura e si vergognò di aver pensato male del contenuto dello scatolone. Ma quando aprí la mappa che era piegata in quattro come ogni mappa che si rispetti, fu deluso un’altra volta. Non c’era nessuna mappa, nessun disegno, nessun indizio, nessun vulcano, castello, fiume o bosco disegnato. Solo 5 versetti delle scritture molti dei quali li aveva già sentiti dal papà e dalla mamma quando parlavano di Gesù.

Lì lesse tutti d’un fiato, un’altra volta, non capì bene che razza di mappa fosse, né tantomeno che razza di tesoro dovesse cercare. Si sentiva solo triste, lontano da casa, perché quella dove si trovava non era casa sua, ma la casa delle vacanze.

Omar uscì finalmente di casa confuso ma pieno di buone intenzioni. “Andrò prima in spiaggia!” pensò, “poi in paese… e se non li trovo nemmeno lì?” Una grande paura si impossessò del cuore di Omar. Se non li trovo che faccio? Si accorse che dalla fretta e dalla confusione non aveva nemmeno preso le chiavi di casa. Non poteva nemmeno più rientrare.

“Se siete preparati, voi non avrete paura”

Erano le parole del primo versetto della mappa. Quante volte lo aveva sentito. Talmente tante che non ci aveva nemmeno prestato attenzione. Era uscito di corsa, senza prepararsi troppo. Ci pensò un attimo ancora. A parte le chiavi, non era vero che non si era preparato. Aveva tutto quello che gli serviva. FORZA, CORAGGIO, SPERANZA, GENTILEZZA E PAZIENZA li aveva sempre con sé, dentro il suo cuore, bastava cercarli bene. Aveva poi uno zaino pieno di merendine e succhi, una strana mappa del tesoro, ed un tesoro da cercare. Iniziava a capire. Il tesoro, ovvero gli unici che avrebbero messo fine alla sua paura e alla sua tristezza e gli avrebbero ridato la gioia erano MAMMA E PAPÀ. Eccolo il tesoro. Doveva ritrovare mamma e papà.

Se non saranno in spiaggia o non saranno in paese tornerò a casa, a casa mia. Lì prima o dopo torneranno di sicuro. O forse saranno già lì ad aspettarmi.

Omar passò due ore lungo la spiaggia a passeggiare, a giocare con la sabbia, a farsi un paio di bagnetti e anche a cercare mamma e papà. Non li trovò, quando ebbe fame, addentò due merendine, poi una terza perché erano davvero buone. Infine si bevve un succo, anzi due, faceva caldo. Con la pancia piena riprese la bicicletta e andò in paese. Da nessuna parte li trovò. Così passarono la mattina e metà del pomeriggio. E Omar ormai stanco decise di tornare a casa. Ma quale casa? Ripassò davanti alla casa delle vacanze. Silenzio. Vuota. Soprattutto chiusa. Non c’era nessuno.Vabbè torniamo a casa pensò. Con la macchina ci vogliono… Ci vogliono… Due ore, pensò. 

“Ascolto tutta la compilation di canzoni per bambini e dopo la canzone della Vecchia Fattoria vedo il mare e siamo praticamente arrivati”. Canterò le stesse canzoni e pedalerò più forte che posso, non dovrei metterci molto di più, pensò. Con questi pensieri in testa Omar partì. Le macchine lo superavano a velocità incredibili, la sera ormai si stava mangiando il giorno ed era quasi buio, aveva una fame incredibile e una sete che si sarebbe bevuto il mare, nello zaino una sola merendina avanzata, i succhi erano invece finiti. Gli venne da piangere. Si fermò sotto una fermata dell’autobus con una panchina. Si riposò, pianse, e nel buio della notte si mangiò la sua ultima merendina. Stanco, senza forze, si sdraiò sulla panchina nel caldo torrido dell’estate e mentre rivolgeva una preghiera, esausto si addormentò.

Si svegliò alle prime luci dell’alba con il sole che doveva ancora spuntare, un po’ di freddo alle braccia e alle gambe ma soprattutto una fame che avrebbe mangiato anche tutte le verdure che non gli piacevano. Ma la sete era di più. Gli venne voglia di piangere ma pensò che così perdeva acqua. Trattenne le lacrime e lesse la mappa.

Numero 2.

“Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? 26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? 27 E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? 28 E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. 29 Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30 Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? 31 Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? 32 Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. 33 Cercate prima la pace di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.” Omar capì.

L’importante era tornare a casa. Trovare mamma e papà valeva più di ogni altra cosa al mondo. Prima o dopo la sua pancia sarebbe stata riempita. Fece una preghiera piena zeppa di tutta la fede di un bambino e accadde un miracolo. Non ebbe più voglia di piangere. Aveva una forza incredibile. Prese la bici e ricominciò a pedalare.Dopo poco tempo un parchetto con una fontanella divenne il suo paradiso in terra. Bevve e giocò, giocò e bevve di nuovo. Mise il capo sotto l’acqua perché faceva caldo. Appena ripartito trovò un rovo di more lungo la strada. Voleva avventarsi sul Roveto e mangiare more e spine insieme tanta era la fame. Voleva strafocarsi tanta era la fame. Ma si ricordò dei guerrieri di Gedeone, che furono scelti perché bevvero l’acqua senza foga, senza fretta, con pazienza. Quindi mangiò una mora alla volta, facendo attenzione a non pungersi. Anche la sua pancia fu piena e ripartí.

Pedalò pedalò e pedalò tutta la mattina. Era allegro, cantava le canzoni che conosceva. Quelle almeno le conosceva. La strada invece non era sicuro di conoscerla. A volte riconosceva dei posti, altre volte no. A volte credeva di andare bene altre volte aveva la certezza di essersi perso. Tornò a bussare alla porta del suo cuore una grande grande tristezza. Ebbe improvvisamente la sensazione di essere stato abbandonato e che non ce l’avrebbe mai fatta. L’acqua fredda e dolce che aveva bevuto alla fontanella uscì praticamente tutta calda e salata dai suoi occhi. Piangeva come un bimbo. Era un bimbo. Lui era solo un bambino. Come potevano i suoi genitori avergli fatto questo? Prese la mappa per capire, voleva capire.

Numero 3. Matteo 11:28

28 Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo. 29 Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me, perch’io son mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; 30 poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero.

Omar capì. Non era solo. La sua mamma non lo avrebbe mai abbandonato. Non lo aveva abbandonato, certamente era lì da qualche parte, dietro qualche cespuglio ad osservarlo, su un elicottero silenzioso e invisibile nel cielo che lo seguiva. E poi la mamma e il papà gli avevano insegnato a pregare. NON SARAI MAI SOLO gli avevano detto. Basterà pregare e sentirai nel tuo cuore tutto l’amore che viene dal cielo, dalla mamma e dal papà e di tutte le persone che ti amano e ti vogliono bene. Come aveva fatto a dubitare? Perché si era lasciato andare ai brutti pensieri? Oh! certo! le sue gambe. Erano stanche, non muoveva più un passo. Era stremato, era perso in mezzo al nulla, nessuno lo stava cercando, aveva fame e sete e si sentiva solo. Solissimo. “Vieni da me e io ti darò riposo” gli aveva detto Gesù nella mappa. Iniziò a pregare con tutta la forza e il coraggio che aveva e mentre pregava le sue gambe magicamente pedalavano. Pedalavano. Pedalavano. Poi si fermò a riposare ad una fermata del bus, sulla panchina. Improvvisamente vide dal fondo della strada un bus arrivare. Forse ci posso salire sopra pensò. Ma la bici? Mica posso salirci con la bici? Il bus si avvicinava velocemente. Doveva prendere una decisione veloce. Che poteva fare? Leggere la mappa. Leggere la mappa. Pregare. Ricordarsi la sua missione, le cose importanti. Poi, solo poi decidere. Allora fece tutte queste cose velocemente.

Numero 4. Matteo 6:19

19 Non vi fate tesori sulla terra, ove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri sconficcano e rubano; 20 ma fatevi tesori in cielo, ove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non sconficcano né rubano. 21 Perché dov’è il tuo tesoro, quivi sarà anche il tuo cuore.

Omar capì d’improvviso. Il mio tesoro sono mamma e papà. La bici è bella, bellissima, la mia vita, il mio regalo più bello. Ma non più bello di mamma e papà. Baciò il sellino della bici, le disse a voce alta “MI DISPIACE. MAGARI CI RIVEDREMO”. Poi salì sul bus. Doveva tornare a casa. Là stava il tesoro. Una strana calma unita alla stanchezza presero il suo cuore che fino ad un secondo prima aveva battuto all’impazzata. Vedeva i panorami scorrere veloci. Gli sembrava di rivedere tutta la strada che aveva percorso. Ma era troppo stanco. Nemmeno il tempo di addormentarsi e sognare l’abbraccio di mamma e papà che un signore lo svegliò scuotendolo dolcemente. Siamo arrivati al capolinea gli disse. Ultima fermata, devi scendere che tra un po’ si riparte. Omar con gli occhi ancora stropicciati dal sonno scese dal bus. Non poteva credere ai propri occhi quando vide quello che vide. Proprio non ci poteva credere.

Non era vero. Incredibile. Gli venne da piangere. E pianse. Il bus lo aveva riportato al mare. Praticamente sulla stessa spiaggia, vicino alla casa delle vacanze. Si arrabbiò, si infuriò con tutti.

Con i suoi genitori, con Dio, con Gesù, con gli amici e i parenti che quando ne avevi bisogno non c’erano mai. Insomma si arrabbiò davvero con il mondo. E infine pianse se stesso. Che stupido era stato. Come aveva anche solo immaginato di poter fare una cosa simile?

Era notte. Un’altra volta. Esausto, stanco e disperato, senza troppa convinzione prese la mappa e come ultimo gesto disperato lesse il punto numero 5.

Giacomo 1:2

2 Fratelli miei, considerate come argomento di completa allegrezza le prove svariate in cui venite a trovarvi,

3 sapendo che la prova della vostra fede produce costanza.

4 E la costanza compia appieno l’opera sua in voi, onde siate perfetti e completi, di nulla mancanti.

5 Che se alcuno di voi manca di sapienza, la chieda a Dio che dona a tutti liberalmente senza rinfacciare, e gli sarà donata.

Omar non aveva più lacrime da versare e nemmeno rabbia. Semplicemente non capiva più niente era confuso. Come faccio a stare ALLEGRO in questa situazione. Solo, abbandonato, senza forze. Trovò un pezzo di legno sulla spiaggia, lo trasformò in cuscino. Il rumore delle onde fu una ninna nanna. Prima di addormentarsi pregò, ancora, un’ultima volta. “Dio aiutami a ritrovare mamma e papà. Lo desidero con tutto me stesso, ho fatto tutto quel che potevo”. Si addormentò ripetendolo ad ogni stella che vedeva nel cielo e ad ogni onda del mare che si posava sulla spiaggia.

Il profumo di torta alle mele era forte come anche il canto degli uccelli. Omar si svegliò tra lenzuola che sapevano di casa. I suoi giochi, i suoi libri, il suo armadio. Era in camera sua. Com’era possibile?

Si alzò come se fosse dentro un sogno. Andò in cucina e vide mamma e papà intenti a preparare la colazione. La sua preferita. Pancake con lo sciroppo d’acero e poi miele, Nutella, marmellate, torta di mele e il suo succo preferito.

Prima fu la mamma a incrociare il suo sguardo. E prima ancora che lo chiedesse lo accolse dicendogli SIAMO SEMPRE STATI QUA, NON TI ABBIAMO MAI ABBANDONATO. E poi abbracciandolo come se tutte le piume del mondo si fossero radunate per accoglierlo in quell’abbraccio aggiunse: SAPEVO CHE CE L’AVRESTI FATTA. L’HO SEMPRE SAPUTO.

Dentro quell’abbraccio Omar incrociò lo sguardo del papà. Non sapeva ancora cosa aspettarsi, ancora non capiva se era stato tutto un sogno il suo viaggio oppure se quello che stava vivendo era un sogno. Mise in bocca un pancake per capirci qualcosa e quello sapeva proprio di pancake. Sembrava tutto vero. Era tutto vero. Tornò a guardare il padre con curiosità e si ricordò che pochi giorni prima gli aveva chiesto con insistenza di diventare grande. “Papà come posso diventare GRANDE? ANCH’IO VOGLIO DIVENTARE GRANDE!”

Il padre lo guardò con tutta la dolcezza del mondo e mentre Omar finalmente capiva e abbandonava per sempre tutta la paura, la rabbia e la tristezza che aveva provato nei giorni precedenti gli disse “NON C’ERA ALTRO MODO”.“LO SO PAPÀ” rispose il bimbo commosso. Solo un’ultima domanda papà. “Chi mi ha preso sulla spiaggia e mi ha riportato a casa? Chi è stato papà?” Credo che tu lo sappia disse il padre avvicinandosi ed abbracciandolo. I due si guardarono e sorrisero. D’un sorriso eterno e pieno di gioia. “Mio fratello?” chiese Omar?  “Si, Tuo fratello” rispose il padre.

Le conseguenze della Pandemia sui giovani” e “Come nascono i pensieri”

Relatori: Dr. Enzo Balestra e Dr. Renato Marini.